La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 7261/2025, ha recentemente ribadito un principio fondamentale in materia di bancarotta impropria da operazioni dolose. Secondo la Suprema Corte, la sistematica omissione del pagamento di tasse e contributi previdenziali (il cosiddetto “autofinanziamento delle imprese”) può costituire un’operazione dolosa penalmente rilevante.
Cosa si intende per operazioni dolose?
Le operazioni dolose, ai sensi dell’art. 223, comma secondo, n. 2, R.D. n. 267 del 1942 (oggi art. 329, comma 2 lett. b d.lgs. n. 14 del 2019), non si limitano a distrazioni o dissipazioni dirette del patrimonio aziendale. Riguardano piuttosto abusi di gestione o infedeltà ai doveri imposti dalla legge agli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni. Si tratta di atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria dell’impresa, che implicano una pluralità di atti coordinati volti a un determinato esito.
In questo contesto, l’omissione sistematica del pagamento di tasse e contributi viene vista come una scelta gestionale consapevole degli amministratori che porta a un prevedibile aumento dell’esposizione debitoria verso l’Erario e gli enti previdenziali. Attraverso questo indebitamento fiscale, la società realizza di fatto un autofinanziamento fraudolento. Questa interpretazione è supportata da un costante orientamento giurisprudenziale.
La sentenza in esame trae origine dal caso di un amministratore di una società fallita, dichiarato colpevole in sede di merito per il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose.
La Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che la sentenza impugnata non avesse adeguatamente ricostruito alcuni aspetti cruciali. In particolare, la Corte ha sottolineato che:
• Le operazioni dolose devono essere il frutto di una consapevole scelta gestionale degli amministratori.
• È necessario accertare lo specifico contributo causale offerto dall’imputato all’aggravamento del dissesto, soprattutto quando egli subentra in una situazione di preesistente difficoltà finanziaria.
• Occorre chiarire quale sia il debito maturato durante il periodo di amministrazione dell’imputato rispetto al debito complessivo preesistente.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la Cassazione precisa che per la bancarotta conseguente ad operazioni dolose è sufficiente la volontà di porre in essere il comportamento contestato, senza che sia necessaria l’intenzione diretta a produrre il dissesto. Si tratta di dolo generico, in cui l’amministratore è consapevole della natura dolosa dell’azione e accetta il rischio del dissesto. Tuttavia, la sentenza impugnata non si era confrontata con l’atteggiamento “salvifico” dell’amministratore, che aveva immesso ingenti risorse personali e cercato di evitare il fallimento.
Conclusioni
La sentenza della Corte di Cassazione n. 7261/2025 ribadisce che l’autofinanziamento attraverso la sistematica omissione dei pagamenti fiscali e previdenziali può configurare un’operazione dolosa rilevante ai fini della bancarotta impropria. Tuttavia, sottolinea l’importanza di una rigorosa valutazione del nesso causale tra la condotta dell’amministratore e il dissesto, soprattutto in quei casi in cui l’amministratore subentra in una situazione di crisi preesistente e adotta iniziative volte a risanare la situazione debitoria. È fondamentale accertare se e in quale misura la condotta dell’amministratore abbia effettivamente contribuito ad aggravare il dissesto e se vi sia stata una consapevole scelta gestionale orientata all’autofinanziamento fraudolento.

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