Alla luce dell’emergenza sanitaria che ha coinvolto il Ns. Paese, si ritiene opportuno fornire una breve riflessione in merito all’impossibilità sopravvenuta della prestazione, ovvero se e in quali termini le imprese siano responsabili per non avere potuto adempiere agli impegni assunti.

Per rispondere a tale domanda è necessario esaminare gli articoli 1218 e 1256 del codice civile.

L’art. 1218 c.c. prevede che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile

L’art. 1256 c.c. stabilisce che “L’obbligazione si estingue quando per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

La lettura incrociata di tali norme permette di ricavare una prima fondamentale considerazione: se la prestazione è divenuta impossibile, successivamente alla nascita dell’obbligazione e per una causa non imputabile al debitore, quest’ultimo non risponde dell’inadempimento.

Occorre, quindi, comprendere quando una prestazione può essere definita impossibile e quando l’evento può essere ritenuto non imputabile al comportamento del debitore. Secondo l’interpretazione maggioritaria, una prestazione può essere definita impossibile quando non può essere adempiuta né dall’obbligato, né da qualsiasi altro soggetto. In questo caso si dice che l’impossibilità è assoluta, cioè che non può essere evitata, qualunque sia lo sforzo del debitore. Tale principio, particolarmente rigoroso, è stato attenuato da diversi interventi giurisprudenziali, sia in riferimento al principio della buona fede, sia nel rispetto dei principi costituzionali del diritto all’incolumità e alla salute, sia in relazione al principio del corretto adempimento.

Così, ad esempio, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26958/2007 ha ribadito l’“esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie -, integrati con i generali canoni di ermeneutica contrattuale quali quelli della buona fede oggettiva e della correttezza”, che renderebbero la prestazione da eseguirsi non esigibile, qualora ciò possa, ad esempio, essere fonte di grave danno per l’obbligato. La Corte Costituzionale, invece, ha più volte sottolineato che i diritti costituzionali, ad es. il diritto alla salute, alla vita ecc…, non possono essere “lesi” in fase di esecuzione di un contratto, ove il diritto ad ottenere la corretta prestazione dovrà essere accantonato (Sentenze n. 19/1994 e 149/1992).

L’inesigibilità della prestazione per impossibilità sopravvenuta non è presente solamente nel ns. Ordinamento, ma viene riproposto nelle norme di diritto internazionale privato. Ad esempio l’art. 17 co. 2 della Convenzione di Ginevra del 1956, avente ad oggetto il trasporto internazionale di merci, prevede che: “Il vettore è esonerato da tale responsabilità se la perdita, l’avaria o il ritardo sono dovuti a colpa dell’avente diritto, a un ordine di questi non dipendente da colpa del vettore, a un vizio proprio della merce, od a circostanze che il vettore non poteva evitare e alle cui conseguenze egli non poteva ovviare”.

Stabilito quando una prestazione è impossibile, occorre comprendere quando la responsabilità non è imputabile al comportamento del debitore. Secondo alcuni (la cosiddetta teoria oggettiva) il fatto discriminante deve essere esterno, imprevedibile e non controllabile. Esempi sono

  • il factum principis ovvero un provvedimento legislativo o amministrativo che impedisce il compimento della prestazione;
  • il caso fortuito ovvero un avvenimento imprevedibile ed eccezionale che rende impossibile l’adempimento;
  • la forza maggiore ovvero un fatto estraneo alla sfera del debitore, avente impulso causale autonomo
  • l’impossibilità derivante dal comportamento di chi deve ricevere la prestazione.

Secondo un’altra interpretazione (la cosiddetta teoria soggettiva) è sufficiente che l’impossibilità non dipenda da un comportamento colposo del debitore

Ovviamente, le conseguenze variano a seconda che la prestazione sia divenuta assolutamente impossibile o solo temporaneamente impossibile. Nel primo caso, l’obbligazione si estingue e, nel caso di prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1463 c.c. “la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta”. Nel secondo caso, il debitore non sarà responsabile del ritardo, con conseguente inapplicabilità delle penali eventualmente previste. Tuttavia, qualora l’interesse del creditore a ricevere la prestazione sia venuto meno, l’obbligazione si estingue e troverà applicazione l’art. 1463 c.c.

Altra conseguenza è disciplinata dall’art. 1464 c.c. che, in caso di impossibilità sopravvenuta parziale, prevede il diritto alla riduzione della controprestazione, oltre alla possibilità di recesso dal contratto in assenza di un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.

L’impossibilità sopravvenuta non opera nei seguenti casi:

  • se il debitore ha causato con il proprio comportamento, anche colposo, la causa di impossibilità (art. 1256 c.c.);
  • se il debitore è stato costituito in mora, prima del verificarsi della condizione di impossibilità (art. 1221 c.c.);
  • se la prestazione ha ad oggetto somme di denaro (cfr. ex multis Cassazione Civile n. 2691/1987);
  • se il debitore non ha adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti e, successivamente, sia sorta un’impossibilità con riferimento ad un ordine o a un divieto dell’autorità amministrativa (“factum principis”) che poteva ragionevolmente e facilmente essere prevista, secondo la comune diligenza (Cfr. Cassazione Civile n. 14915/2018).

Alla luce delle considerazioni sopra riportate, nella situazione odierna, si ritiene che i soggetti che hanno subito l’impossibilità di proseguire nelle proprie attività produttive o che hanno dovuto annullare eventi organizzati, in ottemperanza ai provvedimenti emessi, siano stati nell’impossibilità, non per loro colpa, di adempiere alle obbligazioni. In tal caso, troverà applicazione il factum principis, ossia l’esistenza di un provvedimento legislativo o amministrativo che impedisce il compimento della prestazione.

Per quanto riguarda le altre attività che possono subire ripercussioni dalla situazione attuale, occorrerà valutare i singoli casi, e in particolar modo i contratti che hanno dato origine al negozio, per verificare la sussistenza dei presupposti indicati.

Per entrambi, comunque, sarà opportuno gestire un’adeguata comunicazione alla controparte al fine di permettere, in futuro, di poter dimostrare l’esistenza della impossibilità e l’assenza di imputabilità.

Utilizziamo i cookie, inclusi cookie di terzi, per consentire il funzionamento del sito, per ragioni statistiche e per personalizzare la sua esperienza. Può accettare questi cookie cliccando su "Accetto", o cliccare qui per impostare le sue preferenze.

maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi