La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8921/2024, ha affermato il principio secondo cui l’omessa tenuta dei libri contabili può integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale solo se si dimostra che lo scopo dell’omessa tenuta fosse stato quello di recare pregiudizio ai creditori.

La bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, primo comma, n. 2 legge fall, prevede due fattispecie alternative: quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili; quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita. Anche l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può essere ricondotta, sotto il profilo dell’elemento materiale, nell’alveo di tipicità dell’art. 216, primo comma n. 2 legge fall, (prima ipotesi), atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari, a fortiori ha inteso punire anche l’imprenditore che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa. Le condotte riferibili alla prima ipotesi (sottrazione e distruzione, cui va equiparata l’omissione, nel senso appena precisato) integrano gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo laddove sorrette da dolo specifico; solo, cioè, qualora si accerti che scopo di esse sia quello di recare pregiudizio ai creditori. Ed è proprio tale finalità a distinguere la bancarotta fraudolenta da quella semplice documentale, prevista dall’art. 217 legge fall, e punita anche a titolo di colpa, con riferimento all’omissione della tenuta delle scritture (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Morace, Rv. 279179; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Di Cosimo, Rv. 262915; Sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, De Mitri, Rv. 252992). Con riferimento alla linea di discrimine tra bancarotta fraudolenta documentale a dolo generico e corrispondente ipotesi a dolo specifico, la giurisprudenza ha precisato (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677): “La norma incriminatrice di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, come da tempo affermato da questa Corte, tende, tra l’altro, anche a tutelare l’agevole svolgimento delle operazioni della curatela; sicché, nel caso in cui le scritture siano state tenute in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, la disposizione circoscrive nel perimetro della rilevanza penale ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari. Da tempo è stato chiarito come tale ultimo addebito si riferisca ad una condotta a forma libera che, in realtà, comprende ogni ipotesi di falsità, sia materiale che ideologica, posto che proprio l’agevole svolgimento delle operazioni della curatela non può che essere ostacolata non solo da falsità materiali dei documenti, ma anche – e soprattutto – da quelle ideologiche, che forniscono un’infedele rappresentazione del dato contabile (Sez. 5, n. 3115 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, Clementoni, Rv. 249267; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, De Simone, Rv. 189812). In linea con tale linea interpretativa, va ulteriormente chiarito che la parziale omissione del dovere annotativo, che riguardi uno o più libri contabili, integra la fattispecie di bancarotta documentale a dolo generico; ciò in quanto la singola, omessa annotazione, o anche l’annotazione parziale, presuppongono, in ogni caso, l’esistenza della scrittura contabile di riferimento, elemento imprescindibile per la configurazione della bancarotta a dolo generico; inoltre, tali condotte di falsificazione ideologica, che rendono lacunosa e/o incompleta la rappresentazione contenuta nella scrittura, concretano, in sostanza, altrettante falsificazioni per omissione, valutabili ai fini di una impossibilità o difficoltà nella ricostruzione delle vicende contabili e patrimoniali dell’impresa (Sez. 5, n. 3114 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, Zaccaria, Rv. 249266) sotto l’aspetto fenomenico deve osservarsi che, in realtà, sia la tenuta confusa, incompleta, falsificata della contabilità, che l’omessa tenuta della stessa – totale o parziale che sia -, ovvero le condotte di sottrazione, distruzione, occultamento e falsificazione, determinano tutte, indistintamente, una impossibilità ricostruttiva dell’andamento dell’azienda e delle scelte imprenditoriali, nella misura in cui queste ultime rilevano sul piano penale. Tuttavia, nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento è richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori (o l’ingiusto profitto che l’agente intende raggiungere, per sé o per terzi), che costituisce il fuoco dell’elemento soggettivo, integrando il dolo specifico richiesto dalla norma; le condotte di bancarotta documentale fraudolenta a dolo generico, invece, sono connotate esclusivamente da una peculiare modalità della condotta che, pur non costituendo l’evento del reato, individuano l’atteggiamento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice”.

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